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LAST DAYS
(LAST DAYS)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 4 luglio 2005
 
di Gus Van Sant, con Michael Pitt, Asia Argento, Lukas Haas, Scott Green (Stati Uniti, 2005)
 
La meraviglia suscitata da questo film è data innanzitutto dalla maestria e la grazia con la quale si inserisce nel tema della trilogia della quale costituisce il terzo e ultimo comparto: lo smarrimento provocato dalla scomparsa di un adolescente. Stupefacente, nel suo evolversi dall'estrema fisicità del deserto ai significati astratti e metafisici quello dei due escursionisti di GERRY. Inspiegabile, quello legato alla strage nel collegio di Columbine di ELEPHANT. Radicato nella mitologia del rock quello delle ultime 24 ore del Kurt Cobein dei Nirvana in quest'ultimo LAST DAYS. Ancora gli ultimi giorni, addirittura le ore, l'abbandono dell'adolescenza, del mondo dei sogni, dell'apertura naturale e istintiva all'avvenire. E il rifiuto di spiegare questa situazione, di lasciare allo spettatore la possibilità di accedervi quasi al tempo stesso dei personaggi. Esattamente come in GERRY e in ELEPHANT, la camera del regista s'incolla alle spalle del protagonista; seguendone dapprima una specie di itinerario iniziatico, di abbandono ai rituali cosmici del elementi naturali, l'acqua del bagno purificatore nel torrente, il fuoco che riconforta e riconduce alla vita. Discretamente disastrata come può esserla quella all'interno di un gruppo rock; ricco, famoso e con i problemi soliti e magari grassi.

Come nelle scuole di ELEPHANT, in quel mondo si entra sospinti da una cinepresa falsamente documentaristica; ma, in effetti, condotti per mani dagli echi di una colonna sonora di prepotente invadenza. All'interno della quale agli echi della natura, al soliloquio con l'anima del protagonista si sostituiscono progressivamente i suoni di un mondo esterno più concreto e prosaico, il traffico, le informazioni, gli aerei, la normale trivialità insomma. Poi, verrà la musica che, tanto per intenderci non è quella dei Nirvana ma dei Velvet Underground o addirittura di un compositore del XVI secolo, Clément Joacquin: siamo a mille miglia dalla classica biografia musicale. Apparentandosi ad un uso creativo della scenografia (il villone immerso nel bosco, nobile all'esterno e scalcinato dentro ad immagine dei personaggi) quella ridondante bolla sonora è la cosa che più si inserisce nella memoria; giusto così, trattandosi dopotutto di un universo di musicisti.

La facilità, l'originalità del tragitto di Gus van Sant all'interno di questo universo rimane magistrale. Ma nel confronto con gli itinerari progressivi, le coincidenze illuminanti che avvenivano all'interno del collegio di Colombine o per le distese abbacinanti dei laghi salati dell'Utah e dei deserti, questa immersione nei miti un po' logori della droga, sesso e rock and roll rappresenta una innovazione meno sconvolgente. La corsa verso la rassegnata illuminazione di GERRY costituiva un'esperienza universale. Come la strage ormai annunciata dalle cronache di ELEPHANT, essa si specchiava in momento esistenziale che nella nostra memoria è indissociabilmente legato alla vita. Questa di LAST DAYS, sulla maledizione per l'artista di convivere con il prossimo e con sé stesso, nel processo creativo che va di pari passo con quello autodistruttivo inducono ad una identificazione che è ancora tutta da dimostrare.


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